mercoledì 22 aprile 2015

Se sono gli sbarchi ad essere considerati il problema e non le migrazioni

Gli ennesimi eventi luttuosi del Canale di Sicilia e di Rodi riaccendono i riflettori sulla questione delle migrazioni. Lasciando stare le strumentalizzazioni politiche dei Salvini di turno, e anche di chi mentre ancora si contavano i morti pensavano a ciò che diceva o scrivevano i Salvini di turno. Quello che più mi sorprende e atterrisce, al medesimo tempo, è che per molti il problema è la gestione degli sbarchi e non il fatto che migliaia e migliaia di persone siano costrette a lasciare i luoghi d'origine giocandosi tutto, compresa la vita. Dal punto di vista umano e umanitario troppi sembrano non fare caso a questa realtà; e mi riferisco alla società che troppo spesso ama autodefinirsi civile.

Una singola nazione, cioè l'Italia, si trova ad affrontare quasi da sola gli sbarchi in un momento geo-politicamente infernale, e non può farlo efficacemente. Se anche potesse mi atterrisce che non si parli e si ponga l'accento sul perché migrano queste persone. Eritrea, Siria, Libia e Repubblica Centrafricana, in primis, provocano grandi flussi migratori . Guerre civili, sanguinosissime, spietate e non volute da gran parte di quei popoli. Guerre di ricchi e potenti che macellano gente comune. Ricchi e potenti che lasciando macellare persone in carne ed ossa, accrescono la propria ricchezza e il proprio potere. Scappano da ciò di cui abbiamo paura anche noi ma, a differenza loro, non abbiamo mai vissuto.

Sarebbe opportuno che la società, se vuol essere degna dell'appellativo civile, cominciasse ad interessarsi di questo. Cose lontane? Non ci riguardano? Aiutamoli a casa nostra, una "società civile" dovrebbe farlo.

Se si lasciano affogare le persone non si è migliori di chi le decapita.

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