martedì 7 ottobre 2014

La riforma del mercato del lavoro è discussa in modo balordo.

La riforma del mercato del lavoro ribattezzata Jobs Act è la madre di tutte le riforme. Questioni di merito a parte c'è una cosa che mi rattristisce, mi inquieta, ed è il modo in cui i vari soggetti politici e sindacali ne discutono.

Partiamo dal'ala cuperlian-bersaniana del PD. Nella direzione di partito hanno attaccato il premier-segretario sulla necessità di mantenere il reintegro per i licenziamenti di natura discriminatoria. Cosa che non è neppure mai stata proposta da Renzi e dal suo governo. Detto questo credo siano inutili altre analisi.

Passiamo a Civati. Definisce una deriva a destra il provvedimento, dipingendola al limite del criminale. Renzi pone la fiducia al Senato e il nostro affezionatissimo scrive a Giorgio Napolitano. Perché essere dissidenti e prendersene la responsabilità con i dovuti atti parlamentari non è cosa per tutti. Di certo non per Civati e i suoi. Stare sul carro renziano è comodo per tutti.

Arriviamo a Renzi. Meno guascone del solito ed era ora. Allo scrivente l'impianto del Jobs Act piace e quindi anche l'azione di governo nel caso specifico. Ma Renzi deve sempre aggiungere qualcosa di suo in salsa populista e stavolta ha tirato fuori il Tfr in busta paga. L'idea ha avuto il successo che si meritava: quasi zero. Preparare l'annuncio shock senza consultarsi con i propri consiglieri economici denota una smania di consenso che è, anche se pur sempre decisivo in politica, al limite del narcisismo.

Prima di passare ai sindacati facciamo un giro per le opposizioni. A parte che Renzi è sempre e comunque brutto e cattivo, di controproposte non se ne sentono. Regna il nulla.

Cisl e Uil fanno politica sindacale obiettando nel merito delle cose. Assolvono alla loro funzione per dirla in breve. Stessa cosa si può dire di Landini e della Fiom a prescindere dalla condivisione o meno del loro pensiero.
La Cgil invece vuol fare politica. La cosa è resa evidente dalla data scelta per la manifestazione di sigla. Il 25 ottobre, lo stesso giorno in cui Renzi ha fissato la sua consueta Leopolda. Il fatto che l'articolo 18 non è mai stato applicabile per i dipendenti della stessa Cgil, come Renzi ha ricordato, la dice lunga su molte cose. La Cgil, o meglio i suoi vertici, non assolvono alla loro funzione.

Ah dimenticavo! c'è un altro attore e si chiama Berlusconi. Se ne sta zitto nell'angolo perché sa che quella riforma che si sta proponendo adesso doveva, doveva e poteva, farla lui nel suo secondo governo. E' furbo e se ne sta nell'angolo per non ricordare a tutti che l'uomo della presunta rivoluzione liberale, cioè lui, quando nel 2002 i sindacati guidati dalla Cgil portarono tre milioni di lavoratori in piazza si comportò come il più bolscevico dei leader.

E' questo il modo balordo in cui discutono il provvedimento che è la condizione base necessaria per il rilancio dell'economia italiana. Condizione base, non soluzione.
Per uscire dalla crisi economica e soprattutto da quella occupazionale c'è bisogno di investimenti, italiani o esteri che siano, e l'arrivo di questi passa da una riforma drastica del procedimento di giustizia civile e dalla riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro per alleggerire i costi di produzione. Tutto ciò deve essere accompagnato da una tracciabilità seria dei movimenti monetari altrimenti parleremo sempre del nulla.

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